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Di Moshè Marco Del Monte

Uno degli argomenti della nostra Parashà è la Birchat Cohanim, la benedizione sacerdotale.
Nell’ Ebraismo ogni particolare delle sue pratiche, ogni lettera della Torà, ogni segno, anche il più piccolo, assume un grande significato simbolico.

Uno degli esempi che troviamo nella Torà è prorio la benedizione sacerdotale, composta da 15 parole; Perché mai Hashem sceglie per questa benedizione proprio questa struttura? Inoltre i Chachamim insegnano che lo Shabbat è la fonte di tutte le benedizioni come è scritto nel canto Lechà Dodì, “Ki Hi Mekor Haberacha” “Poiché esso (lo Shabbat) è la fonte della Berachà”, quindi quale può essere il legame che unisce lo Shabbat alla Birchat Cohanim?
Rabbi Yosef Chaim di Bagdad nel suo celebre libro, Ben Ish Chay, risponde a questa domanda.
Spiega il Ben Ish Chay che se un povero dovesse chiedere una Tzedakà per mangiare gli si dà il valore di due pasti, per quel che riguarda i giorni feriali, e di tre pasti, per quel che riguarda Shabbat. Troviamo quindi che il totale dei pasti della settimana è di 15 pasti. Ben Ish Chay mette in relazione ogni singola parola della Birchat Cohanim con ogni pasto settimanale, l’ultimo pasto, la Seudà Shelishit, corrisponde all’ultima parola della Birchat Cohanim e cioè “Shalom”, per questo ci dice Rabbi Yosef Chaym che si usa solo per lo Shabbat l’espressione “Shabbat Shalom”, poiché a causa della Seudà Shelishit, una Mitzvà esclusiva dello Shabbat, si riesce a far scendere lo Shalom nella settimana, e come dicono i chachamim (Okazin 3,12) Kadosh Baruch Hu non ha trovato un recipiente che riesce a trattenere la Berachà per Israel se non il contenitore chiamato Shalom. Per questo auguro a tutti Shabbat Shalom, e che sia sempre un giorno pieno di Shalom il quale possa contenere per sempre ogni sorta di Berachà!