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Di Moshè Marco Del Monte

“Hakol kol Yaakov vehaYadaim Yedè Esav” “La voce è la voce di Yaakov e le mani sono quelle di Esav”.
Difficile stabilire la complessa dinamica tra la dedizione allo studio e la preghiera oppure all’azione pratica e al lavoro manuale. Rendere questo rapporto equilibrato ed armonioso è tutt’altro che semplice.

Già in Masechet Berachot 35b Rabbi Ishmael dibatte con Rabbi Shimon su quale debba essere la via giusta da percorrere. Il primo sostiene che in qualche modo la vita di questo mondo è imprescindibile dal lavoro pratico a cui deve essere dedicata una considerevole parte della giornata. D’altro lato Rabbi Shimon ci dice che ci si dovrebbe dedicare esclusivamente alla Torah a scapito di altri lavori poiché quando Israele esegue la volontà di Dio, il loro lavoro è svolto da altri, e continua affermando che quando Israele non esegue la volontà di Dio, il loro lavoro è eseguito da loro stessi e, nei casi di trasgressione più grave, il lavoro degli altri sarà eseguito da Israel. Questa dinamica tra la materialità e la spiritualità non è presente solo nei giorni di Hol, cioè i giorni feriali, ma anche durante lo Shabbat, con sfumature leggermente differenti. Infatti, i chachamim si domandano se L’Oneg Shabbat, la delizia dello Shabbat, debba essere prevalentemente fisica cioè mangiando, bevendo e dormendo, o solo Spirituale cioè solo studiando e pregando. Alla fine, stabiliscono che lo Shabbat vada suddiviso in due, una parte per il piacere fisico una parte per piacere spirituale.
Credo che in questa dinamica la risposta della Chassidut sia Magistrale. Infatti, esistono due concetti denominati “Itchafia” Ve “Itapcha”, o meglio dominare un certo istinto e, passo successivo, trasformarlo. In una dinamica servo-padrone rispetto ai beni materiali, agli istinti di questo mondo, si dovrebbe riuscire innanzitutto a dominarli Itchafia” e non rimanerne dipendenti e “schiavi”. Il passo successivo è quello di “Trasformarli”, o meglio anche un’azione materiale se si ha il giusto pensiero per dedicarla ad un fine spirituale anch’essa si “trasforma” in spirituale”: Vado al lavoro così potrò fare tzedakà, così potrò dare la decima; Mangio, così potrò dire delle benedizioni e dare forza al corpo per studiare più Torà; compro una casa per poter mettere in pratica la mitzvà della mezuzà o dell’ospitalità e così via. Insomma, in questo modo Rabbì Ishmael e Rabbì Shimon direbbero esattamente la stessa cosa: anche lavorando o compiendo qualcosa di materiale potremmo spiritualizzare l’azione ed essere costantemente legati alla Torà. Addirittura, le mani di Esav, accompagnate dalla voce di Yaakov, possono insieme, meritare la Berachà di Izchak.
Shabbat Shalom