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Di Rav Alberto Sermoneta

"Ve ikkchù li terumà meet col ish asher iddevenu libbò tikkchù et terumatì - E prendano per me un'offerta, ognuno a seconda del desiderio del suo cuore, prendano la mia offerta".
Con queste parole inizia la parashà che leggeremo questo shabbat, in cui viene comandato di raccogliere offerte per la costruzione del Mishkan, il Santuario che accompagnò il popolo durante i quaranta anni di peregrinazione nel deserto.

Di Rav Alberto Sermoneta

Dopo i "Dieci Comandamenti" e le altre mizvot comandate nella parashà di Mishpatim, il popolo ha bisogno di un punto di ritrovo, un centro spirituale, che abbia la funzione di raccogliere tutti gli ebrei.
"Ve asù li mikdash ve shachantì betocham - Facciano per me un santuario ed abiterò in mezzo a loro", con queste parole la Torà apre il discorso riguardo la costruzione del mishkan, il tabernacolo del deserto.
Esso doveva essere un punto di riferimento, di convergenza per tutto il popolo durante i quaranta anni di permanenza nel deserto, come lo sarà quello costruito prima da re Salomone e poi ricostruito ritornando da Babilonia, a Gerusalemme.
La costruzione del Mishkan deve avvenire per mezzo di denaro raccolto dalle offerte di tutto il popolo (ish ke mattenat iadò - ognuno a seconda della sua possibilità), affinché sia considerato di appartenenza a tutto il popolo.


Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà di Terumà descrive l'ordine divino di costruire un "Mishkan - Santuario" nel deserto, per simboleggiare, in modo concreto l'unicità di popolo
Il "Bet ha Mikdash", quello che sostituirà il "Mishkan", una volta che il popolo avrà preso possesso di tutta la terra di Israele, costruito da Re Salomone, su progetto di suo padre, era unico nel mondo ebraico.
Non ne esisteva più di uno e, questo simboleggiava l'unità del popolo che, se voleva offrire un Sacrificio o partecipare alla vitasocio - religiosa della sua gente, doveva recarsi a Gerusalemme, luogo della sua residenza.

 


Di Rav Alberto Sermoneta


….e prendano per me una terumà da parte di chiunque sia sospinto dal suo cuore”
Così inizia la parashà che leggeremo questo shabbat, parashà in cui si parla della costruzione del Mishkan, il Tabernacolo mobile del deserto, che accompagnò il popolo di Israele per tutta la durata del viaggio nel deserto.
La parola terumà, che traduciamo offerta, deriva in realtà dal verbo la- rum, che vuol dire alzare. Essa non aveva una misura, a differenza del mezzo siclo che ogni capo famiglia doveva obbligatoriamente offrire al Tempio.


Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat leggeremo la parashà di terumà, in cui il Signore dice a Mosè di raccogliere offerte (terumot) da tutto il popolo, per costruire un Mikdash (santuario), non tanto come dimora divina, quanto come punto di riferimento e di unicità per il popolo. Il Mishkan, santuario del deserto, e poi il Bet ha Mikdash a Gerusalemme, erano considerati i punti di riferimento del popolo, sia spirituale (il Bet ha Mikdash era l’unico luogo dove venivano offerti i sacrifici), sia amministrativo della vita del popolo (lì c’era o operava il Sinedrio, che era l’organo amministrativo della giustizia).I nostri Maestri ci fanno notare che l’espressione “prendano per me una terumà” è svolta dal popolo e rivolta al popolo, il quale ha il dovere di farsi messaggero e auto responsabile della mizvà della raccolta e della costruzione del Mikdash.


Di Rav Alberto Sermoneta

Nella Parashà di Terumà, la Torà elenca una serie di dettagli e di regole per la costruzione del Mishkan, il Tabernacolo mobile del deserto; esso rappresentava l’antenato del Tempio di Gerusalemme - il Bet ha Mikdash, costruito dopo l’ingresso del popolo nella terra di Israele, da re Salomone su progetto di suo padre re David.
C’è da notare che il testo della Torà dice: “….e prendano per me un’offerta……e facciano per me un Santuario, e io abiterò in mezzo a loro.”
Fanno notare gli esegeti che la terumà, l’offerta che doveva essere fatta spontaneamente, ognuno secondo la propria volontà, non era richiesta direttamente dal Signore, in quanto è detto: “…e prendano per me un’offerta” e non “facciano a me un’offerta”.
Presso gli altri popoli pagani, era la divinità stessa che richiedeva un’ offerta e molte volte, visto che la divinità era rappresentata da un essere umano, egli godeva personalmente dell’offerta fattagli dal popolo, ad esempio, si faceva costruire un magnifico palazzo dove abitare.


Di Rav Alberto Sermoneta

«...Parla ai figli di Israele e prendano per me un’offerta...». Così inizia la parashà che leggeremo sabato prossimo e che prende il nome di Terumà che significa appunto “offerta”.
A questo proposito i Maestri si chiedono come mai la Torà adopera il verbo “prendano” e non “diano” visto che si tratta della richiesta di un'offerta da parte divina per costruire il MISHKAN – Tabernacolo mobile del deserto.

Molte sono le risposte a questo quesito:
Il “minchà belulà” testo di esegesi biblica, spiega dicendo che se colui a cui è predisposta l'offerta è un personaggio importante, colui che la offre è considerato colui che la riceve e per questo è detto “ prendano per me un’offerta” e non “diano a me una offerta”.