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"Arrivai a Bologna il 30 luglio 1866 … il numero degli israeliti ascendeva a circa trecento…” così si legge nella“Autobiografia di un rabbino italiano” di Marco Momigliano. Sellerio editore, Palermo 1986, che continua”. Istituii una scuola elementare in cui s’impartiva dalle ore 9 alle ore 16 di giorno l’istruzione religiosa e profana. Questa scuola che contava dodici alunni ebbe tre anni di vita… Questa nuova comunione prese il nome d’Associazione Israelitica.

Io aveva espresso il desiderio che quest’associazione volontaria si fosse costituita in Comunità regolare, pari alle altre, ma tale mio desiderio non fu mai secondato. Quest’associazione volontaria era mancante di tutto il necessario…”
Dopo l’Unità d’Italia, e l’Emancipazione dai Ghetti, per la risorta, libera, presenza degli ebrei a Bologna, “tutto il necessario” fu conseguito con la creazione della scuola, l’acquisizione del cimitero, la costruzione della Sinagoga...
Tuttavia il desiderio che l’associazione divenisse comunità “non fu secondato”…
Troppo disparata la loro provenienza, dai borghi, dalle città vicine, da quelle lontane, troppo recente l’immigrazione, troppo fresca la ferita inferta al loro stato sociale dal “caso Mortara”, il caso del bambino ebreo “oblato“, cioè battezzato dalla donna di servizio (?), e per questo sottratto alla famiglia, dai birri pontifici.
Intanto la città di Bologna cresceva, molto di più di quelle vicine, e così pure la sua presenza ebraica. Da Cento proveniva Lazzaro Carpi. In casa sua, in via Barbaziana (ora Cesare Battisti), al n. 10 ci si riuniva per pregare, suo figlio Alessandro fu presidente dell’associazione per più di trent’anni. Fu costruita la Sinagoga, (Tempio Israelitico, del 1877) e fu acquisito il cimitero. Alessandro Carpi occupò importanti cariche cittadine, collaborò alla celebrazione dell’ottavo centenario dell’Università di Bologna e poi ”affidò la direzione (dell’Associazione) all’egregio avvocato Cavalier Lazzaro Sanguinetti, persona zelante e ben degna di occupare la carica affidatagli dal suo predecessore per i suoi buoni principi religiosi”. Curioso l’“affidamento” allora dal vertice di una carica ora elettiva nelle Comunità attuali. Ma allora c’erano i notabili, non il suffragio universale.

La famiglia dei Sanguinetti da Modena, abitava e teneva banco in via Lame, vicino ai Mortara. Proprio ad un Bonajuto Sanguinetti chiese aiuto per primo, la sera del ratto, Momolo Mortara, sfortunato padre del piccolo Edgardo. Anche Lazzaro Sanguinetti fu benemerito in città per diverse iniziative: la fondazione dell’Asilo notturno per i poveri, l’aiuto alla Società Operaia Bolognese anche per allestire una gran mostra in palazzo Re Enzo. Nel 1928 inaugurò la nuova bellissima Sinagoga, progettata da Attilio Muggia, e tenuta viva dall’indimenticabile Rabbino Alberto Orvieto. Accanto a lui, nel primo consiglio d’amministrazione dell’Associazione, vi erano Abram Neppi – Modona e Felice Padoa da Cento. La sua famiglia era stata titolare di una società d’esportazione della canapa, massima contribuente delle finanze dello stato Pontificio, insieme ai principi Torlonia.
Leone Maurizio, figlio di Felice, avrebbe creato la Facoltà di Chimica Industriale.
I Sanguinetti erano numerosi fratelli. Cesare Sanguinetti era senatore e Presidente della Camera di Commercio, Guido Sanguinetti, aiutante di campo, presso lo stato maggiore di V. Emanuele III, nella prima guerra mondiale, il cognato Amilcare Zamorani, fondatore del Resto del Carlino, trasformato in quotidiano della città, dal modesto foglio che il tabaccaio, dava come resto quando si comperava un sigaro con un Carlino, ed un’altra sorella, sposata Pugliese, teneva un salotto culturale frequentato da Giosuè Carducci, Ottorino Respighi, Maiorana ed altri.
La presenza culturale ebraica all’Università divenne, nel tempo, sempre più significativa. Nel 1938, su circa novanta professori ordinari dell’Ateneo, ben 11 furono quelli ”dispensati dal servizio per motivi razziali”, oltre a Leone Maurizio Padoa, bolognese, trasferito a Modena, per aver troppo difeso il patrimonio di Chimica Industriale, dalle mene del PNF. Inoltre fra assistenti e liberi docenti a Bologna furono “dispensati dal servizio” in cinquanta. L’Università ha ricordato tutti loro con una lapide, e con il volume: LA CATTEDRA NEGATA, a cura di D. Mirri e S. Arieti, Clueb ed. Bo, 2002 ed i seicento studenti ebrei stranieri espulsi (su un totale d’ottocento), nel volume, SILENCE AND REMEMBERING, The Racial laws and the foreign Jewish students, di G.P. Brizzi, Clueb ed. Bo 2002.
Molti studenti erano assai legati all’ebraismo, e rivolgendosi ad un regime, non ancora ostile, ma già ambiguo, avevano tentato senza esito d’aprire una mensa ebraica (kashèr) ed un circolo ebraico nei locali della comunità. Nella lettera indirizzata alle Autorità si leggono anche le firme nomi di studenti ebrei italiani.
In comunità, dopo l’avvento del nazismo in Germania, si costituì subito la sezione bolognese della Delegazione Ebraica d’Assistenza (DELASEM) La reggeva, e la resse fino all’estremo sacrificio della vita, Mario Finzi.
Con lui collaborarono Eugenio Heiman e Camilla Benaim Supino.