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Sono stato il primo Rabbino impegnato a Bologna nel dopoguerra, dal 1948 a tutto il 1959.
Tutto era distrutto, il Tempio ridotto a un cumulo di macerie, l'edificio della Comunità pressoché fatiscente, ove mancavano persino i tubi del gas, ma - soprattutto - vi era un’enorme tristezza per il vuoto lasciato da coloro che erano stati deportati. Vi era un senso di smarrimento generale.

Questo significò, per me e per mia moglie, partecipare con enorme volontà, spirito di sacrificio e tanto entusiasmo, alla ricostruzione della piccola Comunità bolognese per concretare nuove condizioni storiche, per un’esperienza culturalmente ebraica e umanamente significativa.
Gli Ebrei rimasti dovevano riprendere la vita normale che gli eventi bellici avevano interrotto; dovevano riaffermare con dignità e forza la volontà d’essere Ebrei. Tutto ciò era necessario non solo per loro stessi, ma soprattutto per i loro figli.
Il mio primo discorso pubblico a Bologna lo pronunciai nel 1948 per la festa di Pentecoste, Shavuòt e, in tale occasione, celebrai anche la nascita dello stato ebraico.
Feci presente che ciò che ci univa alla nuova formazione statale ebraica era la Torà, eredità spirituale di tutta Israele, nato nel segno del Decalogo, di cui celebravamo allora l’anniversario plurimillenario.
Durante la mia attività rabbinica, tentai di avvicinare i più lontani all’opera di quei pochi benemeriti che cercavano di svolgere un lavoro comunitario, nell’interesse di tutti.

L'attività che i dirigenti del Consiglio e il Rabbino avevano di fronte era enorme: cercare di reperire fondi, riunioni su riunioni fino a notte, ricerca capillare d'ogni ebreo, rianimare la coscienza ebraica, attirare i bambini e i ragazzi alle lezioni e, nello stesso tempo, reperire le risorse per la ricostruzione del Tempio.
Per le feste si prendeva in affitto una palestra cittadina ove svolgere le Tefillot. Era necessario far comprendere che ogni elemento della vita ebraica da cui eravamo stati staccati, era una parte della nostra stessa anima ebraica, che ci aveva forzatamente abbandonati, era una diminuzione della nostra resistenza ai pericoli della perdita della nostra identità, che insidiavano quotidianamente la vita e l’esistenza dei figli che dovevano proseguire a vivere nel solco della Bibbia.
Con Isacco Cohen, Eugenio Heiman, Renzo Soliani - che si alternarono alla Presidenza della Comunità Ebraica, dopo Emilio Supino, primo presidente del dopoguerra, e prima di Guido Rimini e Bianca Finzi che la guidarono successivamente (N.d.R.) - e tanti altri che avevano a cuore le sorti di Bologna ebraica, anche io diedi il mio contributo e il mio sforzo perché fosse ripristinato un centro comunitario efficiente, luogo di riunione di ognuno e centro di vita ebraica.

Tanti, tanti, tanti furono gli sforzi perché si potesse arrivare alla ricostruzione della Comunità e affinché il Tempio ricostruito divenisse ancora un Bet-ha-Am, una “Casa del
Popolo”, una “Scuola” ove sarebbe stato possibile ascoltare le Tefillot e le parole di un Rav che desse un insegnamento ispirato dallo studio e dalla ricerca della nostra Torà.
Giorno per giorno seguivamo tutti, con amore e trepidazione, i lavori di ricostruzione del nostro Tempio, il Bet Ha-Keneset. La sera prima della sua inaugurazione, con Heiman e mia moglie vi entrammo. Accendemmo tutte le luci e, felici, ci abbracciammo commossi.

Nel nuovo Tempio gli Ebrei bolognesi potevano pregare, ricongiungersi intellettualmente e sentimentalmente con il passato e il presente del popolo ebraico, con l’ininterrotta catena di generazioni che ci avevano preceduto.
L’inaugurazione avvenne nel settembre 1954, alla presenza di vari rabbini, dei correligionari, delle personalità cittadine e dell’Ambasciatore d'Israele a Roma, Sasson. Le opera- zioni di recupero dell’educazione dei sentimenti ebraici si susseguirono con progressiva intensità negli anni seguenti. Vi furono corsi ‘insegnamento della Torà e conferenze, riunioni del Centro Giovanile Ebraico, l’apertura di un giardino d'infanzia e quindi di una scuola elementare dovuta alla collaborazione degli Ebrei della piccola Comunità di Bologna.
Queste furono le mete che si avvicendarono per tutti coloro che, attraverso la progressiva riscoperta del proprio ebraismo, si prepararono a dare una risposta ai problemi umani e una proposta critica aperta a tutta l'umanità.

In Israele, dove mi sono trasferito da circa nove anni, ho avuto la gioia di rincontrare molti miei ex allievi. Furono miei discepoli nel Talmud Torà bolognese. Con loro discutevamo per ritrovare dinamicamente, attraverso lo studio e il dialogo, la forza spirituale che ci avvicinava alle fonti del sapere ebraico.
Ho rivisto oggi, fra i miei allievi di allora, dei medici, degli architetti, dei professori universitari che sono cittadini dello stato d'Israele: sono venuti a festeggiare il loro vecchio Rabbino che per dodici anni ha offerto la sua completa collaborazione nella ricostruzione della Comunità di Bologna,
Molto di più avrei potuto rievocare quanto di buono e di ebraico ho avuto la gioia di intraprendere con la collaborazione degli Ebrei bolognesi.
Essi mi hanno onorato di comprensiva fiducia e hanno avuto a cuore la vita della loro Comunità.
Porgo gli auguri di un Maestro che non dimentica mai la sua prima Comunità, ove insieme alle macerie del Tempio distrutto furono rimosse anche le scorie dell'indifferenza e i sintomi della decadenza.
Il Tempio fu ricostruito, a gloria di Dio. Ancora oggi la Comunità di Bologna vuole aggiungere la sua voce agli sforzi che sta conducendo il popolo ebraico. Auguro al Rabbino, al Consiglio e agli Ebrei bolognesi di conseguire ampio successo nella realizzazione del loro progetto.

Un affettuoso shalom da Gerusalemme.
Sergio Josèf Sierra
Rabbino Capo della Comunità Israelitica di Bologna dal 1948 al 1959