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giustizia
Di Rav Alberto Sermoneta

Tutti siamo pronti ad assumerci le responsabilità, tutti ci responsabilizziamo quando ci troviamo davanti qualcosa, davanti ad un fatto magari da testimoniare, ma tutti non sappiamo cosa significa, con esattezza invece “giustizia”.
Questi due termini “giustizia e responsabilità” che hanno un metro di paragone apparentemente simile, possono invece avere parametri completamente diversi se riferiti a noi uomini o se riferiti a Colui che è al di sopra di noi: all'Eterno.


Se noi analizziamo il testo della Torah, il Pentateuco, troviamo una serie infinita di regole che riguardano il rapporto tra esseri umani, il rapporto tra l'uomo e il suo amico, mentre troviamo una serie minore di regole rispetto al rapporto tra l'uomo e Dio; questo perché il compito che è stato affidato all'uomo sulla terra, creato a immagine e somiglianza di Dio, è quello di gestire una vita sociale nei confronti del proprio prossimo. Tant'è vero che più volte noi troviamo una ricompensa per il buon comportamento tra esseri umani e quasi mai una ricompensa per il rispetto che ci deve essere tra l'uomo e Dio. Questo perchè la Torah stessa vuole darci un'indicazione su quello che deve essere il comportamento della vita sociale tra uomini. Se noi pensiamo un momento, parlando di giustizia umana e divina, ai primi due capitoli del libro della Genesi, in tutto il primo capitolo, considerato la cronologia della creazione che è stato oggetto di approfondito studio da parte degli esegeti, non troviamo mai il tetragramma, mentre lo troviamo nel secondo capitolo.
Nel primo capitolo troviamo sempre Elohim che non significa soltanto Dio, (e di questo ne abbiamo la certezza nel libro dell'Esodo e precisamente nel cap. 21 dell'Esodo, dove esso viene anche attribuito a degli esseri umani), al vers. 6 del cap. 21 a proposito dell'amministrazione della giustizia tra il padrone ed il servo, troviamo scritto: “e il suo padrone lo avvicinerà agli Elohim” e allora non possiamo altro che tradurre Elohim con giudici; quindi Dio è il giudice per eccellenza!
Elohim viene usato nel primo capitolo della Genesi, perchè il Signore Iddio ha provato a creare il mondo con giustizia, mentre, sembra quasi che nel secondo capitolo ci abbia ripensato un po'; cioè, se avesse dovuto crearlo solo con giustizia, probabilmente oggi il mondo non ci sarebbe più. Per questo, aggiunge il tetragramma che secondo la tradizione rabbinica è considerato middat ha rachamim, ossia l'attributo della misericordia divina, dove rachamim è il plurale di rechem, cioè utero materno; e una madre nei confronti del proprio figlio per quanto possa essere traviato e lontano, non può usare giustizia, o almeno non può avere un atteggiamento di esclusiva giustizia, perchè tutti gli esseri umani sono stati creati per poter sbagliare e poter poi rimediare ai loro errori.
Il termine Elohim deriva da una radice araba illaha che significherebbe la forza divina creatrice; è la giustizia per eccellenza, la giustizia pura che, nonostante fosse considerata un attributo divino è pur sempre relativa, perchè Dio crea con giustizia ma poi aggiunge la misericordia quindi, anche noi, esseri umani, non possiamo giudicare se non usiamo misericordia. Ma c'è anche un qualcosa che vedremo nel corso di questa mia breve relazione, qualcosa che accompagna la giustizia e che è definita responsabilità.
Responsabilità e giustizia possono essere anche due termini che l’uno accompagna l'altro. Nel concetto di “arevut”- responsabilità, noi troviamo una delle istituzioni più grandi, attribuite al popolo ebraico, ed è quello forse la base del comportamento che il popolo ebraico deve avere nei confronti del prossimo come esempio e che gli altri devono seguire.
E' scritto: “Israel arevim ze ba ze”, “ogni ebreo è responsabile dell'altro”, è garante dell'altro. Quando si parla di ebraismo, non si parla mai di singolo, bensì di “ kelal Israel” ossia della collettività ebraica; ogni ebreo è quindi responsabile di tutto il resto del popolo.
Questo è un concetto molto forte in mezzo al popolo ebraico e nella tradizione rabbinica; in quanto se noi dobbiamo chiederci il perché di alcuni eventi sia positivi che negativi che accadono al nostro popolo, non dobbiamo soltanto roderci dentro dicendo : “forse è a causa mia che accadono queste cose!” ma dobbiamo invece capire che se qualcosa accade, non è soltanto per merito o per colpa di un singolo, ma i motivi vanno ricercati nella società, nel kelal. Un banale esempio che sovente capita nei confronti degli Ebrei: se Dio ne guardi vi è una rapina e per caso, fra i rapinatori vi è un Ebreo, la presenza di quell’Ebreo, viene subito messa in evidenza. La stessa cosa avviene anche in senso contrario, in positivo.
Questo è in pratica ciò che quella massima rabbinica “ogni Ebreo è garante dell’altro” vuole insegnarci, tant’è che nel libro del Levitico al v. 17 cap. 19 è detto: “non odiare in cuor tuo, tuo fratello, riprendi riprendi il tuo amico, affinché tu non possa aver colpa” in ogni caso, quando i verbi all’imperativo vengono ripetuti, vuol dire che la Torah sottolinea la cosa in modo particolare. Riprendilo, riprendendo il tuo amico affinché tu non possa peccare! Cioè ognuno di noi ha il dovere di riprendere per almeno due volte un uomo. Questo nella terminologia talmudica si chiama hattra’ah, cioè l'avvertimento; avvertimento che va fatto in pubblico, davanti a testimoni, affinché chi lo fa, non possa essere colpevole di tacere davanti a colui che si trova nella condizione di sbagliare. Noi troviamo spiegato questo imperativo così marcato che in caso di testimonianza in tribunale, lo si faccia sempre dinnanzi all’interessato. Cioè non si testimonia se non davanti a colui che ascolta cioè a dire, io debbo portare in tribunale questa cosa ma davanti a colui che è imputato, a proposito di ciò che è scritto nel libro dei Salmi: “ascolta Popolo mio affinché io parlerò” e nel Talmud i maestri continuano a dire “non si rimprovera una persona se non quando sta davanti e non si rende lode ad una persona, se non quando sia assente. Cioè si cantano le Lodi in sua assenza ma lo si riprende in sua presenza.
Detto ciò potremmo tranquillamente fare un excursus biblico di quello che è la giustizia e la responsabilità nella tradizione ebraica, di cui troveremo cenni in tutta la Torah.
Il primo in assoluto è a proposito di quello che può definirsi il primo omicidio della storia: Caino e Abele.
Al cap. 4 vers. 9 troviamo scritto: “e disse il Signore a Caino dov’è Abele tuo fratello? Non lo so forse che io sono il custode di mio fratello” e disse ancora “cosa hai fatto?, la voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra” quindi c'è un accusa da parte di Dio a Caino di aver fatto un qualcosa, un qualcosa di particolarmente grave. E’ per questo che Caino dice al Signore: “… è tanto grande la mia colpa da poterla sopportare”. Dio non punisce Caino con la morte; eppure Caino ha ucciso, è un omicida all'interno della famiglia, ha ammazzato suo fratello ma Dio non lo punisce con la morte, lo punisce con una pena che può essere da esempio nei confronti di altri e pone una sentenza:
“dunque, chiunque uccide Caino verrà punito per 7 volte” cioè a dire Caino è un omicida, Caino si è reso conto della sua grave colpa, non va ucciso perché Dio non ripaga con la stessa misura, ma lascia un segno che deve essere da esempio per tutti gli altri uomini della storia, perchè se Dio avesse ucciso Caino si sarebbe macchiato della stessa colpa di cui Caino stesso si è macchiato.
Dio viene definito da uno dei più grandi uomini della Torah, Abramo, “il giudice di tutta la terra” è una sfida quella che Abramo lancia a Dio. Cosa significa allora giustizia divina? Come potremmo definire Dio giudice, Abramo dice: “forse il giudice della terra non fa giustizia”. Si sta parlando di Sodoma e Gomorra, sono l'esempio più classico della responsabilità collettiva degli esseri umani, Abramo che si sente investito della responsabilità di salvaguardare l'umanità combatte con Dio sfidandolo dicendo “forse il giudice di tutta la terra non sa fare giustizia?” .Dio voleva distruggere Sodoma e Gomorra ma Abramo qui appare più grande di Dio perché vuole risparmiare degli esseri umani e Dio lo asseconda dicendogli che,” se ci sono dei giusti io non distruggerò Sodoma e Gomorra” ma va tu a cercarli perchè così ti renderai conto che giusti non ce ne sono. Purtroppo non è solo lì il fatto di ravvedersi dai loro atti è una società che non ha più la possibilità di tornare indietro, è talmente traviata che soltanto la distruzione di essa, può essere un mezzo di miglioramento, ma Abramo intende la giustizia in modo diverso.
L'uomo non ha una visione della giustizia uguale a quella divina; trovandoci davanti ad una disgrazia, alla morte di un bambino o alla sofferenza di una persona diciamo: “ma che giustizia è questa” , cosa ha fatto di male un bambino per essere venuto al mondo e poi morire, quante volte noi uomini ci troviamo davanti a certe situazioni e diciamo ma è forse giustizia questa? I parametri sono completamente diversi, tante volte noi vorremmo uccidere e Dio no quindi adesso vedremo quando si tratta appunto di elencare le differenze tra il modo di interpretare la giustizia divina e quella umana. C'è un altro posto dove si parla di responsabilità, arevut che sono due termini che rendono responsabilità o garanzia. Ti do una garanzia che farò questa cosa, se non la porterò a termine dovrò pagare con i miei mezzi. Nel brano in cui si parla di Giuseppe che sta in Egitto e che trattiene Simeone per vedere Beniamino, fratello più piccolo. E’ questo un quadretto che può rappresentare un ambiente del ghetto tradizionale ebraico con tutti i sentimenti e le sensazioni più popolari, più classiche di un Ebreo. Giacobbe che ha paura, i figli di Giacobbe, che cercano di incoraggiare il loro padre, ma hanno più paura di lui, quando si tratta di prelevare Beniamino e portarlo in Egitto. Giacobbe che dice:“Giuseppe non c'è più, non c'è più Simone e Beniamino ve lo prenderete, cosa sarà della mia vita?” Ad un certo momento, davanti a questo dramma familiare c'è Ruben, primogenito, il quale esordisce con un'espressione poco simpatica che Giacobbe non gradisce affatto, al vers. 37 del cap. 42: e Ruben dice a suo padre: “metterò a morte i miei figli se non riporterò a te Simone e Beniamino”. Giacobbe si adira contro Ruben, lo tratta da stupido, gli chiede che parole siano quelle, quale nonno può sentirsi dire “metterò a morte i miei figli per riportare tuo figlio”, Giacobbe dice che Beniamino non scenderà insieme a loro in Egitto, non se ne parla fin tanto che c'è un intervento più saggio, molto più ebraico, molto più familiare: quello di Giuda, il quale dice :“manda il fanciullo con me e andremo, vivremo tutti e non moriremo. Ecco qui c'è la parola “vivremo”, io ti garantisco con la vita non con la morte che ti riporterò Simone e Beniamino. C'è una garanzia di vita, questa è giustizia non la morte. La morte non da garanzia perchè è morte , la vita si, il famoso detto popolare:”finché c'è vita, c'è speranza”, la speranza di una garanzia, di miglioramento, di vita. Qui troviamo il vero concetto di responsabilità del singolo riguardo la collettività, nella famiglia nei confronti di due esseri umani, ed è per questo che Giacobbe accetta. Accetta soltanto quando si parla di garanzia di vita.
Nel libro del Deuteronomio troviamo proprio la parola “zedek” - giustizia, diversa dalla parola “mishpat “, “la giustizia, la giustizia inseguirai” perchè due volte la parola “zedek” ? Perchè probabilmente la Torah vuole insegnare all'essere umano come si è veramente-giusti - “zaddikim” , non soltanto come “chasidim “- buoni - giustizia per eccellenza oppure come” chesed”, misericordia, o insieme, tant’ è che i commentatori traducono il primo “zedek” con “giustizia buona” l'altra è “mishpat”, la giustizia giusta, la giustizia per eccellenza. Tu dovrai emettere una sentenza tenendo presente queste due cose e finalmente troviamo l'espressione di Giobbe che dice: “è giusto il Signore nelle sue vie ed è buono in tutte le sue opere” quindi c'è la parola zaddik e la parola chasid , e il Salmo dice: “---la bontà e la verità si incontrano, la giustizia e la pace si baciano”. Come è possibile che possano andare d'accordo la bontà con la verità e la giustizia con la pace? Se è verità, deve essere giusta, cioè dobbiamo vedere attraverso gli occhi del giudice, colui che sa essere imparziale davanti ad un fatto, sa essere arbitro delle cose vere. Isaia termina il suo primo capitolo con le parole: “Sion verrà riscattata con la giustizia e i suoi abitanti con zedakà”, cioè Dio non vuole la morte degli uomini ma la giustizia dei fatti.
Tornando all’inizio del discorso, abbiamo cercato, azzardato di analizzare quello che è il termine giustizia nella Torah, anzi vi chiedo scusa se qualcuno può pensare in modo diverso e credo sia giusto così.
Dicevamo che ogni ebreo è responsabile nei confronti di tutto il suo popolo. Pensate un attimo alla preghiera, al “viddui”, la confessione delle colpe che noi recitiamo tutti i giorni, la mattina e il pomeriggio. Pensate un momento alle colpe elencate in questo poema che va sotto il nome di “viddui” confessione delle colpe, cioè la presa di coscienza delle colpe. Io sinceramente quando leggo quell’elenco di colpe,citato in esso, penso tra me e me che queste cose non le ho mai fatte. “Abbiamo rubato con forze, abbiamo rapinato, detto il falso, parlato di cose inique….”, io ho solo cercato di fare il meglio, non sarò un santo…. Se io le pronuncio e l'altro le pronuncia, non siamo per questo un popolo di gente malfamata, le diciamo perchè nel caso in cui qualcuno le avesse realmente commesse, noi chiediamo a Dio in prima persona plurale di perdonare chiunque le abbia commesse, grazie alle nostre preghiere. Il concetto di collettività nella società è un concetto di responsabilità, ognuno è responsabile dell’operato degli altri. Se voi pensate a quello che è il secondo comandamento che dice: mi ricorderò le colpe dei padri sui figli fino alla terza, quarta generazione per coloro che mi odiano, non dice ucciderò ma mi ricorderò, terrò presente.
Tant 'è che nel Deuteronomio è detto:” non moriranno i padri a causa dei figli o i figli a causa dei padri, ognuno morirà per la sua colpa”, ognuno è responsabile della propria colpa, se ne assume le responsabilità ma sappia che a causa della sua colpa può essere intaccato anche il suo popolo. E' un avvertimento, quando si parla di morte, si parla di morte individuale, quando si parla di ricordo si parla nella collettività. Voglio concludere citando il testo di una bellissima preghiera che noi recitiamo all'inizio del Kippur:” hai amato la giustizia”, la giustizia è in funzione alla vita” e hai odiato la malvagità” è in funzione alla morte, Dio che sta seduto sul trono della giustizia il giorno del kippur è soltanto l'inizio del kippur non al termine, quando si sposterà sul trono della misericordia, è ancora l'inizio, Dio sta seduto lì sul trono della giustizia e sta analizzando gli esseri umani, uno per uno, li sta analizzando per trovare una sola cosa che possa appellarli alla vita; “vai dietro ai molti per fare del bene” ,fai del bene per cercare qualcosa a cui appellarti per il bene dell'uomo, per la sua vita per emettere una sentenza vera.

Grazie.