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Di Rav Alberto Sermoneta

Nel libro di Bereshit, al capitolo 26 versetto 17, troviamo narrato un episodio in cui il Patriarca Isacco, riprende un’opera di suo padre Abramo dopo essersi conteso con i Filistei, dei pozzi scavati da suo padre.

Nel testo troviamo scritto: “… e tutti i pozzi che avevano scavato i servi di suo padre Abramo, li avevano chiusi i Filistei riempendoli con la terra”. Nel brano precedente a questo appena citato, troviamo narrato che i Filistei, sudditi di Avimelekh, rubavano acqua dai pozzi riempiendoli di terra in modo da causare un grosso danno ai loro nemici nel caso in cui avessero bisogno di acqua. Isacco tornò a scavare quei pozzi chiamandoli con lo stesso nome con cui li aveva chiamati suo padre.
Questo brano viene ad insegnarci che un uomo ha il dovere di comportarsi allo stesso modo dei suoi avi, senza mai allontanarsi dal loro modo di fare, proprio come fece il Patriarca Isacco.
E’ fondamentale secondo l’insegnamento dei nostri Maestri, per il bene della nostra identità, non allontanarsi mai dalle tradizioni e dagli usi dei nostri avi.
Nello Shulchan ‘Arukh (joreh de’ah 366-4), codice massimo della normativa ebraica tutt’ora accettato e studiato da tutti gli Ebrei del mondo, troviamo un imperativo assai forte che suona con le parole: Minhag avotenu Torah hi, “ l’usanza dei nostri padri è legge”. Questo insegnamento, viene a testimoniare quanto il minhag, sia fondamentale anche per l’osservanza della normativa- la halakhà.
Il minhag è qualcosa che apparentemente è diverso dalla halakhà, la quale è concepita come qualcosa avente una forza particolare e vincolante nella società ebraica, tanto da essere considerata la funzione della vita ebraica.
Il minhag invece è l’espressione del modo comportamentale per osservare e mettere in pratica una determinata halakhà.
Esso può subire dei cambiamenti da paese e paese, e può persino contribuire al cambiamento di modo di osservanza di una determinata halakhà; addirittura secondo quella che è una opinione Talmudica, esso in alcuni casi, ha la forza di annullare una halakhà (Talmud di Gerusalemme: bavà metzi’à pag. 87 halakhà A)
Il minhag, nasce dalla vita o dalla condizione, o dalle usanze degli ebrei in un determinato luogo della Terra, o addirittura per influenza dei Rabbini del luogo, che operano in una comunità secondo il loro sistema o le necessità di quel luogo. Si possono così trovare minhaghim diversi da comunità a comunità anche vicine fra loro.
I maestri del Talmud hanno decretato che: “nei luoghi dove vi è l’uso di agire in un determinato modo nell’osservare la halakhà, lo si continui a fare, senza mai cambiare l’uso che vige in quel luogo”.
E’ attribuita ad un Maestro del Talmud (bavà mezi’à 86 b) Rabbì Tanchum ben Chanilai, la massima che sostiene che mai nessun uomo cambi il minhag del luogo, in quanto fu così a proposito dei tre Angeli che si presentarono ad Abramo, si mostrarono come se stessero mangiando e bevendo, rispettando l’uso degli uomini, mentre Mosè che salì in cielo al cospetto divino, stette senza mangiare e bere per quaranta giorni e quaranta notti, proprio come si usa in quel Luogo.
Il minhag, quindi proprio per ciò che si citava sopra, non si cambia per alcun motivo, anche se esso è in contrasto con le regole della halakhà, per non trasgredire ciò che i Maestri di Israele insegnano, ossia di non sparlare di cose fatte dai Maestri antichi.
Nel Talmud (T.B. berakhot 45 a; Pesachin 66 a), si insegna che qualora vi fosse un dubbio sull’interpretazione di un regola, si era soliti dire: “esci e guarda come la gente si comporta”.
Il Pachad Izchak enciclopedia della normativa ebraica, di Isacco Lampronti (Ferrara), sostiene che la forza del minhag è tanta, da arrivare persino a sradicare la halakhà.
Esistono dei minhaghim che riguardano particolarmente le donne, durante il corso dell’anno inerenti i loro lavori specifici quali:

1) non fare alcun tipo di lavoro all’uscita del sabato, tanto da proseguire l’atmosfera sabbatica, anche dopo la sua fine. Di questo uso, descritto nel MAGHEN AVRAHAM par. 299- 15 e riportato a nome di AVUDHARAM, si ritrovano tuttora testimonianze in alcune comunità
Nella Comunità Ebraica romana, ad esempio è ancora in uso non lavorare (cucire, stirare, ecc.) per tutta la durata del giorno, anche dopo l’uscita del sabato e per distinguerlo da un comune lavoro muliebre, si usava cucire di mozzaè shabbat, i tachrichim, ossia quella sorta di tuniche di lino, che servono a vestire i defunti, prima della loro sepoltura. Per questo motivo, l’astensione dal lavorare all’uscita del sabato, sarebbe considerato un segno scaramantico di buon augurio.
2) non fare alcun tipo di lavoro nel capo mese.
3) non fare alcun tipo di lavoro dal momento in cui avviene il conteggio dell’omer; cioè dal momento in cui si recita la benedizione per tutta al notte. Questo per tutto il periodo di quarantanove giorni.
4) non fare alcun lavoro nel periodo in cui i lumi di Chanuccà sono accesi.
Come sono esistiti Maestri che hanno difeso il minhag e la sua rigida osservanza, così ve ne sono stati altri che hanno cercato in tutti i modi di annullare la propria esistenza, denigrandoli e criticandoli in ogni modo.
Rabbenu Tam, famoso maestro e commentatore talmudico, si dilunga molto sull’importanza o meno dei minhaghim e arriva alla conclusione, sostenendo che essi sono del tutto dannosi all’osservanza dei precetti.
Egli sostiene che anagrammando la parola M I N H A G ne deriverebbe da essa G H (e )I N A M che secondo una tradizione della mistica ebraica, sarebbe il luogo dove le anime dei peccatori, scendono dopo la morte.
Attraverso questa interpretazione, egli non dà spazio alla sua esistenza, decretando che la loro osservanza non può altro che essere dannosa.
La maggior parte dei Maestri, invece sostiene che il minhag in generale non è altri che la forma più elegante per trasmettere la cultura del popolo ebraico ai posteri e che, nonostante la Diaspora, ha saputo mantenersi attaccato alle proprie tradizioni di vita, legate saldamente alla Torà, ma che hanno assunto uno stile più consono ai luoghi della loro residenza diasporica.
Più è antica la presenza ebraica in una comunità, più la qualità e la quantità dei minhaghim è alta.
Più una comunità è attaccata ai propri minhaghim, meno rischio si corre di assimilazione e di estinzione.
Da tutto ciò si evince che il minhag è la consuetudine della collettività ebraica, sia in Israele che nel resto del mondo; che trova la sua origine nella halachà e nella letteratura talmudica e che, pur distinguendo gli usi di una comunità dall’altra, ha mantenuto e tuttora mantiene vivo lo spirito che caratterizza il popolo ebraico.