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“Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici……”

Mi sento di iniziare in questo modo perché oggi ricorre il venticinquesimo anniversario della morte di Primo Levi, un Ebreo italiano fra i pochi ad essere scampato alla morte di Aushwitz.
Con queste parole inizia una poesia che ci è particolarmente cara, che tutti noi conosciamo e che può essere considerata la “Canzone Manifesto” di un’epoca classificata la più vile offesa, non solo al popolo ebraico ma all’Umanità intera: la Shoà.

La Shoà non può e non deve essere considerata un periodo storico, ma deve essere il simbolo di tutte le persecuzioni e dei genocidi che in un mondo moderno, si sono perpetrate nel tentativo di cancellare parte della Specie Umana.
Essa, come fu definita dallo storico in materia, più famoso d’Europa Georges Bensoussan, direttore del Memorial de la Shoà di Parigi, “unica in ogni suo frangente”.
Spiega Bensoussan:
“A differenza di tutti gli altri genocidi o stragi di massa, la Shoà ha visto, in tutto il suo periodo, una caccia feroce all’Ebreo, in ogni luogo, in ogni momento per catturarlo, portarselo a domicilio e trucidarlo lì, sul loro territorio”.
Primo Levi, continua la sua poesia dicendo:
“Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli”.

Egli adotta le parole che gli Ebrei ripetono per almeno due volte al giorno e che sono l’atto di fede del popolo ebraico: lo Shemà Israel
E’ l’atto di fede eterna del popolo ebraico al suo D-o; si trova sulla nostra bocca da quando, ancora appena balbettanti, i genitori orgogliosi dell’appartenenza al proprio popolo, lo insegnano ai loro figli, con una fede che non ha eguali.
E’ un brano che viene ripetuto, con enfasi in ogni momento della nostra vita, dalla mattina alla sera, dalla nascita alla morte. Sì alla Morte! Chissà quante volte lo avranno ripetuto quei poveri ebrei nei campi di sterminio nazisti! Chissà forse all’infinito!
Quelle mamme con i loro figli, chi in grembo, chi attaccati alle proprie carni, quando si videro scaraventate ed ammassate come bestie al macello, nelle infami camere a gas, per togliergli quell’unico bene che a stento riuscivano a mantenere la loro vita e quella dei loro figli.
Quanti bambini sono stati trucidati, a quanti esseri umani è stata tolta prima la dignità di uomini, poi la vita.
Una cosa inenarrabile; un milione e duecentomila bambini, che non avevano neppure la colpa di essere partigiani, nè omosessuali; l’unica loro colpa era quella di essere Ebrei, sono stati trucidati in quei mattatoi umani, alcuni di essi dopo essere stati sottoposti alle più atroci torture e sevizie dei sadici medici nazisti.
Eppure, cari ragazzi, noi abbiamo il dovere di narrarvelo e voi avete il dovere di impararlo, di “scolpirlo nei vostri cuori” affinché nulla e nessuno possa cancellarlo.
In un episodio del libro dell’Esodo si parla di Amalek nemico storico del popolo ebraico che lo attacca appena uscito dall’Egitto, quando era ancora debole e stanco per la schiavitù sofferta, colpendolo nella parte più debole: donne, vecchi, bambini e malati.
Per costui, dopo che il popolo ebraico lo aveva sconfitto affrontando una guerra impari, il Signore dice:
“…….scrivi questa storia in ricordo, su un libro, poiché Io cancellerò il nome di Amalek da sotto il Cielo”
L’obbligo doveroso di ricordare questo avvenimento e il male che costui fece al popolo ebraico, non ha termine, fintanto che esisterà il cielo e la terra, gli ebrei dovranno ricordare costui, insegnando ai propri figli, il dovere di ricordare per l’eternità questo avvenimento, tanto da farli sentire nella condizione di come se essi fossero stati protagonisti dell’evento in prima persona.
Colui che causò l’immane tragedia dell’ultimo secolo e che è bene non pronunciare il suo nome in queste sacre mura, discese da Amalek, non avendo considerazione per donne, per vecchi, bambini e malati, ma in più tentò di cancellare il popolo ebraico, non solo materialmente, ma anche moralmente.
Noi che abbiamo avuto il bene di non esserci stati, abbiamo invece il dovere morale di considerarci come se quei momenti, li avessimo vissuti in prima persona, per trasmetterlo alle generazioni future.
In questi ultimi tempi si avvisano rigurgiti di razzismo, di intolleranze e di antisemitismo giustificato da un altro termine, più moderno Antisionismo, che si muovono strisciando in ogni angolo del Pianeta, facendo risvegliare nelle nostre vite, i fantasmi di quel periodo che pensavamo morti e sepolti.
Si inneggia, oltre che alla morte degli ebrei, alla cancellazione dello Stato di Israele dalla carta geografica, accusandolo di usare gli stessi mezzi usati nei campi di sterminio.
Giovani che inneggiano al negazionismo e al revisionismo, negando la shoà e mettendone in dubbio i suoi 12 milioni di morti; episodi di intolleranze razziali, nei confronti di chi si trova in minoranza, e discorsi razzisti si ascoltano da chi invece dovrebbe trovarsi al di sopra di simili esternazioni, che usando strumenti di divulgazione di massa per farsi propaganda, danneggiano così l’immagine di una Nazione, che ha fondamentalmente sconfitto l’ideologia razzista.
Più volte sentiamo durante discorsi ufficiali i nostri governanti che ripetono quasi alla noia frasi del tipo:
“mai più”; ma è vero o soltanto retorica? Perché “mai più” lo si può dire soltanto attraverso i fatti, combattendo in ogni modo, forme di intolleranze etniche, attraverso lo studio, il dialogo e il confronto costruttivo, lottando così ogni forma di xenofobia aprendo verso un periodo di pace, libertà e rispetto fra uomini..
A proposito di ciò, nel brano del Pentateuco che domani mattina, sabato, leggeremo in tutte le Sinagoghe del mondo, troviamo comandato di celebrare la festa di Pesach - la Pasqua, in ricordo dell’avvenuta liberazione dalla schiavitù egiziana e di astenersi dal mangiare pane e mangiando al suo posto le azzime, chiamate il “pane dell’umiltà” come simbolo di libertà.
E’ libero colui che si pone e si dispone con umiltà davanti al suo prossimo, ascoltandone le necessità e lasciando a lui lo spazio necessario per testimoniarle. Come motivazione è sempre addotta quella del riguardo per gli schiavi e per gli stranieri, perché è scitto:
ti ricorderai che schiavo e straniero fosti in Terra d’Egitto”, per questo motivo il Signore terrà conto del tuo comportamento nei loro confronti.
Tutto ciò è nostro dovere, quello di insegnarlo ai nostri figli, ai nostri alunni, facendo sì che le generazioni che non erano presenti a quegli eventi, vengano istruite, nello stesso modo che se avessero vissuto in prima persona, proprio nello stesso modo di come noi facciamo nel celebrare la festa di Pasqua, leggendone la sua Narrazione coinvolgendo i nostri figli nel chiederne la storia.
Soltanto la memoria di ciò che fu, ci garantisce la Libertà e la testimonianza nel tempo, allontanando ogni sorta di pericolo di rivivere le tenebre del passato.