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rosh hashana 6Yehudim Ykarim,
l’anno che si sta per concludere ha portato a questa kehillà una serie di molteplici cambiamenti, tra i quali l’insediamento di una nuova figura rabbinica.

La decisione di essere Manhig di una comunità implica sempre forme di responsabilità importanti, nonché tutta una serie di accorgimenti, per poter proseguire in modo adeguato quell’eredità spirituale dei predecessori, mantenendo sempre quell’umiltà necessaria ma cercando allo stesso tempo di apportare anche nuove forme di comunicazione e innovazione, come diciamo ogni giorno nella preghiera dell’Amidà benedicendo il D.o “nostro” e dei “nostri Padri”, intendendo quindi contenuti innovativi, personali, delineati pur sempre nella cornice della millenaria tradizione dei nostri Avi.
Il sentimento quasi immediato di sentirsi in una grande famiglia ha reso il tutto molto più semplice: il supporto costante e la partecipazione sempre più attiva dei membri della comunità ha dato quell’energia giusta per essere motivati a pensare e realizzare sempre nuove iniziative e progetti: l’assidua presenza del minian al Bet Hakeneset ha reso possibile lo svolgersi regolare di tutte le tefillot dell’anno. Le molteplici lezioni svolte al Bet Hakeneset hanno dato modo di discutere ed approfondire i vari aspetti interpretativi delle dinamiche della Torà e dell’Halachà. L’aver deciso di mangiare insieme il pasto dello Shabbat ha reso questo giorno ancora più speciale, il quale ha dato la possibilità di allargare questa grande famiglia, condividendo questi momenti gioiosi con gruppi di studenti israeliani, facendoli sentire piacevolmente accolti e dandogli la sensazione di sentirsi un po’ a casa, anche grazie ai piatti tipici israeliani serviti.

Se volessimo trovare un simbolo che possa racchiudere un po’ tutto questo percorso, potrebbe essere ben rappresentato dallo Shofar. Uno degli elementi caratteristici della liturgia di Rosh Hashanà è appunto lo Shofar, il corno tipicamente di montone, il quale caratterizza iconologicamente la festa stessa. Molti sono i significati attribuiti a questo oggetto sacro. Secondo la tradizione rabbinica, Adam Harishon, il primo Essere Umano, rappresentava lui stesso lo Shofar, ed il Grande Tokea, Kadosh Baruch Hu, insufflando in esso il Proprio Spirito Divino, creò quel meraviglioso suono armonico chiamato Vita. La stessa struttura dello Shofar insegna molteplici principi ebraici: esso ha la sua piccola imboccatura nel punto più basso, e finisce con una grande apertura verso l’alto, questo ci insegna a porgere il nostro sguardo verso il cielo, sempre verso mete più alte, mantenendo costantemente i piedi a terra, acquisendo la consapevolezza che per ascendere a livelli elevati dovremmo sentirci sempre umili.
Ed è questo sentimento di semplicità e modestia che ci donerà il regalo di poter apprezzare ogni piccola cosa come se fosse grande, un po’ come accade nel cannocchiale, quando si guarda dalla parte piccola si vede tutto molto grande ed esattamente il contrario se si vede dal lato opposto. Lo Shofar, quindi, rappresenta anche l’interconnessione tra il mondo materiale e quello spirituale, ed è l’oggetto che rappresenta per eccellenza le varie tipologie di legami in senso lato: quello tra l’uomo e D.o, quello tra gli uomini, e quello che crea quel ponte tra il passato, il presente ed il futuro, tra i nostri Padri, menzionati in ogni preghiera, e noi, i figli di oggi e padri di domani. La stessa radice della parola Shofar esprime diverse accezioni: S-P-R significa miglioramento, perfezionamento, ma anche “Bellezza”, piacevolezza.

Credo che la scelta di esprimere le spiegazioni delle varie simbologie dello Shofar rappresenti molto bene, in forma figurativa, la storia attuale della Comunità ebraica di Bologna fatta di nuove iniziative, di nuovi inizi, fatti da piccoli tasselli che cercheranno di costruire la scala per raggiungere una meta sempre più grande: Nel senso della radice S-P-R si ritrova infatti Il tema di quest’anno della Giornata Europea della Cultura Ebraica la quale volge sul concetto di “Bellezza” nell’ebraismo; Nell’essere questo strumento di preghiera, la rappresentazione del concetto di interrelazione, ritroviamo l’inizio del nuovo e rivoluzionario progetto di interconnessione tra le piccole comunità ebraiche chiamato Reshet. Nel suo suono, rappresentante un momento di riflessione sull’unità del popolo d’Israele giudicato all’unisono, ritroviamo la coesione sempre più salda tra i membri della comunità e una sempre più copiosa presenza di studenti israeliani che condividono momenti di convivialità nei pasti sabbatici e festivi. Nel suo rappresentare la linea che unisce il tempo ritroviamo la consapevolezza di iniziare da quella solida base realizzata dai “Padri” di questa Comunità per poter continuare quel percorso di costruzione e di “automiglioramento”. Proprio da questa base si prospetta l’anno a venire ricco di molteplici nuovi progetti: il suddetto progetto intercomunitario “Reshet”, la costruzione di una nuova cucina comunitaria in grado di rendere ancora più piacevoli le festività ebraiche, un nuovo Mikvè totalmente rinnovato che possa essere un punto di riferimento anche per le comunità limitrofe, la riapertura di un Gan Yeladim, e molte altre occasioni di incontri sociali e culturali. Proprio questa, una delle letture della parola Rosh Hashanà, cioè “Inizio del cambiamento” (Shinui), e quindi l’inizio di un nuovo entusiasmante viaggio insieme, verso una meta piena di Mitzvot e Berachot!
Daber el Benè Israel Veissàu- Parla al Popolo d’Israel e dì loro di iniziare a procedere nel cammino!

Shanà Tovà Umetukà a Tutti

Marco Moshè Del Monte