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Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat leggeremo nella parashà una serie numerose di avvenimenti di piccola e grande importanza.

Si comincia con la mizvà che il Sommo sacerdote aveva di preparare la menorà alla sua accensione di tutti i giorni e si continua con altre mizvot, come quella della consacrazione dei Leviti, della Pesach shenì (l’opportunità di offrire il sacrificio pasquale un mese dopo pesach per coloro che nella data destinata si trovavano in condizioni inadeguate alla offerta).
Si narra poi di come ci si doveva preparare in occasione di una guerra e della mizvà di suonare le trombe d’argento, insieme allo shofar, per richiamare il popolo all’attenzione sia di cose buone che meno buone; dell’organizzazione dell’accampamento in caso di guerra, della partenza di Itrò, suocero di Mosè, dal popolo e dei vari episodi negativi riguardo il comportamento del popolo.
Ad un certo momento, assistiamo ad uno strano episodio, a cui solitamente si attribuisce poca importanza; esso consiste nel fatto che due uomini del popolo - Eldad e Medad – iniziano a fare pratica di profeti in mezzo all’accampamento. Giosuè, impressionato dall’atteggiamento dei due uomini corre da Mosè a riferirgli ciò che sta accadendo e chiedendogli di farli arrestare.
Mosè invece reagisce in modo inaspettato rispondendo: “magari tutto il popolo di D-o profetizzasse!!! Perché il Signore ha posto in ognuno di loro il Suo spirito”. Risposta sicuramente sbalorditiva ed inaspettata, da gran leader, capace di mantenere calma e distacco.
A questo punto ci si chiede chi fossero costoro, dal momento che nessuno li conosceva, e cosa stessero profetizzando. Due sono le considerazioni da farsi: la prima è che sicuramente non erano uomini con cattive intenzioni, altrimenti Mosè si sarebbe consultato con D-o riguardo il da farsi, così come era avvenuto per le altre circostanze; la seconda è che bisogna comprendere il senso del termine Profeta e quindi di profezia.
Il “navì” - il profeta - è colui che riporta la parola di D-o; il termine “navì” da cui deriva “nevuà” –profezia- è una forma passiva del verbo “ba” – “venire”, quindi “riportare”.
Il profeta quindi, non è colui che predice il futuro, bensì colui che insegna la Torà. Sulla base dell’osservanza delle regole o della loro trasgressione da parte del popolo, prospetta un futuro buono o non buono.
Tutte le mattine, appena apriamo i nostri occhi dopo il sonno notturno, abbiamo il dovere di recitare una formula di ringraziamento al Signore per averci ridato l’anima che appartiene a Lui e che noi custodiamo nel nostro corpo per tutta la giornata.
Quell’anima è “PURA” perché appartiene a D-o ed è per questo che ogni uomo ha anche un po’ di spirito profetico.
Magari, volesse il Cielo che ogni uomo usasse la sua anima per fare del bene al prossimo, senza danneggiarlo; ci troveremmo tutti nella condizione di benefattori come furono Eldad e Medad.

Shabbat shalom