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Di Rav Alberto Sermoneta

Con la parashà di Vaichì si conclude il libro di Bereshit, ma anche la storia della famiglia di Giacobbe.

In realtà, la Torà ci dà un segnale che la storia continua, ma in una dimensione più allargata, in quanto è riferita alla storia dei discendenti di Giacobbe: i figli di Israele, le origini del nostro popolo. Dopo essersi fatto riconoscere dai fratelli, i quali si preoccupano di una sua probabile vendetta per aver tentato di ucciderlo e poi averlo venduto in Egitto, Giuseppe li rassicura, ma attraverso ciò che dice loro vuole far capire che, il rapporto che c'era fra D-o e i tre Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe - suo padre - verrà mantenuto anche con lui. I sogni che Giuseppe racconta ai fratelli si avverano e questo è il segno che D-o vuole, tramite lui far conoscere ciò che avverrà loro in futuro.

Nelle due ultime parashot, assistiamo a tre incontri fra Giuseppe e i fratelli, ma soltanto nell'ultimo incontro, vi è una vera e propria riappacificazione. In punto di morte, come avvenne per Giacobbe, anche Giuseppe, profetizza cosa sarebbe accaduto loro, di lì a poco: la schiavitù; si fa promettere dai fratelli però, che quando usciranno liberi verso la Terra dei Padri, anche le sue ossa verranno portate via dall'Egitto, per essere sepolte nel luogo dove andranno a vivere definitivamente.

C'è bisogno però - questo è quello che Giuseppe raccomanda loro - che vi sia una pace interiore che permetta loro di vivere una vita intensa, ma soprattutto senza rimorsi, per conquistare la libertà e per meritare la gheullà - la liberazione dalla schiavitù. Il messaggio di Giuseppe è chiaro:
Bisogna prima rendersi conto di ciò che si è fatto, per trovare una serenità interiore e poi la si può trovare tra fratelli.
La parola Shalom (che fra l'altro è anche uno dei nomi di D-o) viene tradotta "pace", deriva da shalem - completezza. Non si può essere in pace con gli altri, se prima non lo siamo con noi stessi! Prima cerchiamo di riappacificarci dentro di noi e poi potremmo trovare un dialogo con i nostri fratelli, che contribuisca ad una pace globale. 

Concludo con le parole di un grande maestro - tutt'ora in vita - del nostro popolo:
"En gheullà lelò Shalom penimì be tokh ha am - Non può esserci una redenzione se non c'è una pace interiore in mezzo al popolo" 

Shabbat Shalom