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Di Marco Del Monte

“I messaggeri tornarono da Yaakov dicendo: Siamo andati da tuo fratello Esav; anche lui ti sta venendo incontro e con lui ci sono quattrocento uomini”.

Di Rav Alberto Sermoneta

La parashà si apre con l'incontro tra Giacobbe ed Esaù, dopo venti anni che Giacobbe era lontano da casa.
Prima dell'incontro però, avviene un qualcosa di inusuale: durante la notte precedente l'incontro, Giacobbe viene aggredito da un angelo che lo intrattiene per tutta la notte in un combattimento.
Secondo alcuni commentatori, non si tratterebbe di un angelo, bensì di un messaggero incaricato da Esaù, di uccidere suo fratello.

 

Di Rav Alberto Sermoneta

"Al chen lo iochelù benè Israel et ghid ha nashè - Dunque i Figli di Israel non mangeranno il nervo ischiatico"
Questa frase della parashà, la troviamo dopo che Giacobbe ebbe un combattimento notturno con un angelo divino, che lo colpì alla coscia e gli cambiò il nome in Israel, benedicendo infine, lui e la sua discendenza.
Nel libro di Bereshit non troviamo regole halakhiche, all'infuori di questa, rivolte direttamente al popolo ebraico sia perché non esisteva ancora il popolo ebraico, sia perché non era stata data ancora la Torà.
Tutti sappiamo che la Torà tutta, è stata scritta da Mosè sotto dettatura divina; Mosè stesso non mette mai una regola precisa rivolta al popolo nel libro di Bereshit.

Di Rav Alberto Sermoneta

La figura di Giacobbe analizzata sotto molti aspetti, sia positivi che negativi, viene ora completamente ribaltata dall’inizio di questa parashà, fino al termine del libro di Bereshit.
Nelle parashot precedenti, abbiamo conosciuto un Giacobbe egocentrico, forse un po’superficiale: si impossessa di ciò che non gli appartiene, discute accanitamente con il suocero per far prevalere le sue ragioni e quelle delle mogli e dei figli; un Giacobbe che senza alcuna nostalgia o rimorso vive per venti anni lontano dai suoi genitori che lo avevano inviato da Labano per proteggerlo, dicendogli che avrebbe potuto rimanere in casa di suo zio per qualche giorno.
Ora però il tempo è trascorso anche per lui, e la parashà ce lo raffigura invecchiato, anche se ancora pieno di vigore e forza d’animo, ma soprattutto dedito alle preoccupazioni che i figli possano dare ad un genitore.

Di Rav Alberto Sermoneta

Dopo venti anni di lontananza, a causa del “fatto” della primogenitura, Giacobbe ed Esaù si rincontrano.
L’incontro, descritto nella prima parte della parashà, non è piacevole, ed anzi fra le righe, si legge che addirittura scocciava entrambi.
Infatti, appena Esaù chiede a suo fratello di proseguire insieme il cammino per il ritorno alla casa paterna, Giacobbe gli risponde che dovrà preoccuparsi del passo dei bambini, rifiutandosi quindi di continuare a camminare con lui.
Prima dell’incontro, Giacobbe manda dei messaggeri da Esaù, per vedere quali fossero le intenzioni di costui verso suo fratello e dai messaggeri fa dire ad Esaù di essersi attardato fino a quel momento da Labano ed aver dimorato presso di lui.


Di Rav Alberto Sermoneta

Nella parashà di Va ishlach assistiamo a molti eventi che suscitano un forte sentimento in noi e nel cuore di qualsiasi lettore.
Giacobbe, dopo aver lasciato il malvagio Labano, suo zio e suocero, si accinge a fare quello che sarà il passo più difficile della sua vita: l'incontro con il fratello Esaù, suo più acerrimo antagonista.
Giacobbe manda dei messaggeri incontro ad Esav e questi gli riportano la notizia che costui gli sta andando incontro con quattrocento persone.
Comunque l'incontro ha un effetto equivoco, in quanto, secondo un midrash Esaù, prima di incontrare direttamente Giacobbe gli manda un messaggero che lo impegna in una lotta estenuante, fintanto che Giacobbe, avendo la migliore su di lui, viene colpito al nervo ischiatico e rimane zoppo.
Dopo averlo colpito, l'angelo gli cambia il nome in Israele, nome che sarà portato con orgoglio dal popolo che da lui discende.

Di Rav Alberto Sermoneta

Nella Parashà che leggeremo questo sabato, la Torà ci narra dell'incontro dopo venti anni fra Giacobbe ed Esaù.
Giacobbe, dopo aver preso la benedizione della primogenitura, da suo padre Isacco, è costretto a scappare a causa dell'ira di Esaù che lo vuole uccidere perché si era impossessato, oltre che della primogenitura, anche della benedizione, che aveva un forte valore economico. (Il primogenito era colui che avendo la responsabilità della famiglia dopo la morte del padre, riceveva per questo una doppia eredità).