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Di Rav Alberto Sermoneta

La prima domanda che si pongono i Maestri del midrash è:“dove andò Mosè?” In effetti non troviamo scritto nulla riguardo il luogo dove si diresse.
Secondo un midrash, Mosè sapendo che i suoi giorni stavano per completarsi, si recò da ognuno dei componenti del popolo ebraico a salutarli, uno ad uno ed a chiedere perdono per le offese (eventuali) che aveva arrecato loro.
E’ molto bella questa spiegazione ed anche molto commovente, se pensiamo che un uomo della grandezza di Mosè, il quale aveva parlato con D-o “faccia a faccia” ed aveva saputo mettere a repentaglio la propria vita, per salvare quella del popolo, abbia potuto fare un gesto così terreno.
Eppure questa è la grandezza degli uomini: avere la forza di chiedere scusa a chi si è arrecato offesa.
Molte volte sentiamo dire da grandi personaggi: “Non ho niente di che scusarmi con nessuno!”. Eppure Mosè che è considerato fra i più grandi uomini della storia, lo ha fatto.
Questo è anche il comportamento da avere in questi giorni particolari chiamati “Aseret Jemè Teshuvà – dieci giorni penitenziali”, in cui ognuno di noi dovrebbe recarsi dal Suo prossimo a riconciliarsi con lui. La preghiera e la richiesta di perdono a D-o non hanno alcun valore se prima non ci si è riconciliati con il prossimo.
“Shuva Israel ad H’ Elohekha – Torna o Israele fino al Signore tuo D-o”; con queste parole inizia la haftarà che domani mattina si leggerà in tutte le Sinagoghe del mondo. Questo shabbat infatti prende il nome dalla haftarà e per questo motivo viene chiamato “shabbat shuva” o “ shabbat teshuvà” ossia il Sabato del ritorno.
Il significato è il medesimo, ma trovandosi fra Rosh ha shanà e Jom Kippur, si esorta ancora una volta l’ebreo a pensare al suo comportamento sbagliato e a pentirsi, chiedendo perdono al prossimo, avvicinandosi sempre di più quel giorno chiamato “Yom Haddir umiuchad – giorno eccelso e unico” : Yom Kippur.
La teshuvà è la cosa più grande che un ebreo possa fare; i Rabbini sostengono che tanto più è grande la colpa, tanto più, nel momento della teshuvà il merito sarà grande per coloro che la fanno.
Tornando al senso della Haftarà, essa continua dicendo: “’ad A’ Elohekha – fino al Signore Iddio tuo”.
“La teshuvà, la tefillà, la zedakà fanno cambiare il cattivo decreto” (divino su di noi).
Mosè attraverso la sua preghiera, durata quaranta giorni e quaranta notti sul Monte Sinai, fece sì che il disegno divino di distruggere totalmente il popolo ebraico che si era macchiato della grave colpa di idolatria, fosse annullato e il popolo salvato dalla distruzione totale.
La preghiera del Profeta Elia sul Monte Carmelo, portò alla salvezza del popolo, ritenuto ormai condannato a causa del suo comportamento da idolatra.
Così in ogni occasione in cui c’è stata una completa teshuvà, arricchita dalla tefillà e dalla zedackà, considerata la materializzazione delle altre due mizvot, il decreto cattivo si è tramutato in buono.
Possa così avvenire con tutti noi anche quest’anno e portare selichà e kapparà in mezzo al nostro popolo.

Shabbat shalom