Questo sito usa i cookie di terze parti per migliorare i servizi e analizzare il traffico. Le info sulla tua navigazione sono condivise con queste terze parti. Navigando nel sito accetti l'uso dei cookie.


Di Rav Alberto Sermoneta

Questo shabbat (dopo l’interruzione di un sabato, dovuta alla festa di Pesach), riprenderemo la lettura ciclica della Torà con la Parashà di Kedoshim.
E’ interessante notare come, in questa parashà, la Torà si esprima in un modo inconsueto, riservato soltanto a momenti particolarmente salienti, quali la “promulgazione del Decalogo”.
Infatti, proprio all’inizio di essa “è scritto: ….dabber el col ‘adat benè Israel ve amartà alehem kedoshim tijù ki kadosh anì A’ Elohekhem” (parla a tutta la congrega dei figli di Israele e di loro siate santi perché sono santo Io il Signore vostro D-o).
C’è da notare due termini particolari: ‘adat (‘edà) e kedoshim (kadosh).
Gli interpretatori del testo fanno notare che questa parashà fu insegnata al popolo alle pendici del Sinai, nello stesso momento in cui furono dati i Dieci Comandamenti.


Di Rav Alberto Sermoneta

“..Ushmartem et chuccotai veet mishpatai asher ja’asè otam adam va chai bahem”(cap.18 v.5)
“…e osserverete i miei statuti e le mie leggi, seguendo i quali l’uomo ha la vita…”
I commentatori si chiedono quale sia il nesso fra l’osservanza delle mizvot e la vita dell’uomo;
il numero delle mizvot negative, corrisponde a 248, tante quante sono gli organi o le membra del nostro corpo.
Sostengono i nostri maestri che vi è una grande differenza, fra organi ed organi: se un uomo viene colpito ad una mano e la perde o perde uno o due dita di essa, nonostante sia una grossa perdita, egli può comunque continuare ugualmente a vivere, anche se vive male; viceversa, se però si tratta di un organo interno che ad esempio viene danneggiato, si rischia di perdere la vita, tanto più se questo è un organo chiamato “vitale”.


Di Rav Alberto Sermoneta

“… Ecco Io sto inviando a voi il profeta Elia prima del giorno del Signore grande e terribile”
Con queste parole si conclude il brano profetico (haftarà) che leggeremo sabato mattina, quel sabato che precederà la festa di pesach e che a differenza di tutti i sabati dell’anno prende il nome da una delle ultime parole della haftarà stessa. I Maestri del popolo ebraico, soprattutto coloro che si occupano di grammatica, fanno notare che la parola shabbat è femminile per cui il suo attributo dovrebbe essere al femminile ghedolà e non gadol.Per questo motivo il termine gadol sta ad insegnarci qualcosa che non può significare il grande sabato. Gadol, spiegano alcuni maestri è riferito al miracolo avvenuto in Egitto, quel sabato; vediamo di comprendere meglio.